Quel luogo, sono io.

 

La strada, quella che esce dal paese, il paese quello mio, dove torno ogni volta per sanare illusioni, è aperta, esposta, anche lei. Mi somiglia.
C’è questa strada tra le vigne che ad un certo punto si stringe, curva e sullo sfondo si apre, dalla parte ad est del mondo. Da noi a est vedi il mare, uno spazio azzurro spaccato sul confine. Mentre cammini ti arriva l’odore di terra e salsedine, incenso di pino, mosto scaldato dai quaranta gradi d’agosto.
Ci andavamo con i motorini, lì, noi, erano gli anni novanta. Quegli anni in cui ancora non c’erano le mini targhe, era obbligatorio il casco e non si andava in due. Si modificavano i carburatori, dal diciannove al ventidue, le marmitte Giannelli e l’odore dell’olio bruciato ti rimaneva tra i capelli. S’intrecciavano le stradine laterali, semi chiuse, attorno le querce, dove ci si fermava, ci si baciava, ci si promettevano cose, gesti, piccoli futuri. Poco forse rimane di quelle promesse.
In molti siamo rimasti con un quarto di quel tempo, pezzi di motore dentro ai garage, qualche storia non detta. C’è ancora l’erba alta giù per i campi, gli alberi hanno la stessa voce, la villa stregata dal cancello chiuso è rimasta senza finestre.
Torno. Riparto.
Ho continuato a scrivere nonostante tutto.
Ho buttato quei vestiti, ho cambiato i capelli, ho conosciuto gente e capito la diversità.
Ho camminato di fianco all’ombra silenziosa che ero in quegli anni, ho parlato sopra la mia stessa voce mentre ogni cosa decideva di cambiarmi.
Ho cambiato le scarpe, la velocità è la stessa adesso senza tacchi, ho invertito una decina d’anni.
M. mi chiama e torno indietro, sulle frasi, sulle parole tenute chiuse bene, aspetto.
Passano svelte le stagioni qui, tra un borgo e l’altro, sono pochi i chilometri a dividersi agglomerati di mura, ogni tanto un’impalcatura.
Allora ripenso che io sono quel luogo, una manciata di mattoni tenuti in piedi da un’armatura, puntellata dal ferro sbiadito negli anni, immobile sulla collina che, in fondo, s’illumina soltanto quando vede il mare.
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[appunti del non viaggio]
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[Paragrafi]
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©LaScrittoressa
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La misura, delle cose

La misura delle cose che nessuno controlla più è un contatore vecchio, fermo all’ultima bolletta non pagata.
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[appunti del non viaggio]
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Due più una

Io, lui e lei

 

Ho visto la mia vita farsi buio prima della neve, ho tradotto quelle luci senza la violenza della resa senza la promessa che avrebbero spostato il male nel riflesso piovuto addosso. Ho cercato quella cifra ai bordi delle righe credendo di rimanere con lo stesso sguardo. Invece no. C’è una cataratta spessa che opacizza ogni cosa chiara, quel filtro sceso fino a coprire ogni parete circostante. C’è quella faccia che non voglio ricordare, c’è quel disprezzo che non posso dimenticare.
Tutto ha un prezzo e io non lo credevo. Le carte hanno avuto la mia mappa. Sono rimasta dentro quel disegno in cui mi sono ritrovata ed ecco che la vita accade tutta troppo fuori per poterla trattenere ancora. Guardo lo sgretolarsi leggero da qui, come le piccole frane causate dalla pioggia quando fanno cedere l’orlo, come fa l’acqua quando scorre troppo forte lungo i fossi.
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[Parentesi]
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©LaScrittoressa

Il prossimo carrozzone

Sono scappati tutti, gli animali. Lo spazio antico è rimasto vuoto, anche la gabbia più grande, quella dove c’era la pantera adesso è rotta, il cancello aperto sulla strada di fronte cigola. Un giro di vento ogni tanto, una stagione meno reale ad arrugginire le giunture, intorno è bianco.
L’animale vecchio invece si nasconde bene, nessuno lo ha più visto, sono passati troppi anni.
C’è un punto scuro al centro del parco, un punto in cui soltanto chi ha avuto il coraggio di entrare sa da che parte si muore; lì, sta da solo, in religioso silenzio, l’animale vecchio, nel tempio svuotato giorno dopo giorno e una coperta dai papaveri rossi che ormai non scalda più.
Per andarsene da soli ci vuole coraggio, così si aspetta un altro carrozzone, si invecchia in un altro circo, in un altro spettacolo, in un aprile qualsiasi, e tornare, tornare ad esistere cercando di non zoppicare.
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©LaScrittoressa

[Paragrafi]

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Photo by Kurturtava on twitter

Così [John Legend – All of me]

https://music.youtube.com/watch?v=450p7goxZqg&feature=share

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Continuo a respirare, comunque.
Ero finita sott’acqua sì, giusto il tempo di capire che, neanche se fossi stata sirena, il mio canto sarebbe arrivato fin su da te. Ero soltanto pausa, io, da un intermezzo di cose e un inverno, che avrebbe voluto finire prima.
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[Frammenti]
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