Dissociazione Elementare

Dissociazione Elementare

DISSOCIAZIONE ELEMENTARE di Silvia Gelosi (Arcipelago itaca; ISBN: 979 12 80139 47 4; MARI INTERNI – Collana diretta da Danilo Mandolini; prefazione di Gian Mario Villalta; pagg. 88; € 15,00).
La scheda del volume è scaricabile qui:

https://cdn.shopify.com/s/files/1/0248/5823/0883/files/Scheda_DISSOCIAZIONE_ELEMENTARE_di_S._Gelosi.pdf?v=1656323335
Il volume è acquistabile sia tramite il sito della casa editrice, sia su ibs al link:

https://www.ibs.it/dissociazione-elementare-libro-silvia-gelosi/e/9791280139474?inventoryId=422395436&queryId=75e4eea1fe6db1ed733fbab8b748c367

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e in tutte le librerie.

Non è così che passo i giorni

 

Questo racconto partecipa al concorso toast, organizzato dal Penelope Story Lab.

Te lo ricordi quando ascoltavamo i Police dentro alla tua auto? C’erano quelle canzoni in cui dovevamo per forza accenderci una sigaretta. Fumavo le Cartier, avevano il filtro bianco, lucido, tu le Gauloise rosse.
Mi insegnavi la meraviglia delle cose e lo credevo un giudizio universale, tutta la luce era abitabile, perfino di notte, ero in ascolto; tutta me era viva per musica e racconti del mondo che avevi già visto tu.
Poi, c’è stato l’ultimo viaggio, un lavoro muto, un ritorno in cui non c’eravamo più. Dovresti guardarmi adesso, non è così che passo i giorni, sai? Hai scalzato le mie strade, ora il loro silenzio è invadente, sono un essere inadeguato in ogni posto. Custodisco assenze da un po’ di tempo, infilo le mie logiche strappate in qualche incavo del corpo mentre penso, le Muratti blu non sono la stessa cosa accidenti, qualcuno deve dirglielo alla Philis Morris.
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Che diritti ho su di te

 

Questo racconto partecipa al concorso toast, organizzato dal Penelope Story Lab.

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A questa distanza qui è stato difficile non baciarti, avrei voluto girarmi e, ma c’era troppa gente, non l’ho fatto.
Ho sorriso, ho pensato mi stessi prendendo in giro, ho pensato Ma dai figurati. Invece questa cosa ha iniziato a camminare dentro, come un piccolo verme che si nutre di storie raccontate, di confidenze, condizionali imperfetti, di incontri che non sono arrivati mai.
I vermi diventano due, tre tanti, lunghi come un rimorso, una rinuncia, mentre passano i giorni e ti chiedi cosa sarebbe successo, dopo. Però quella sera era finita così, a gin lemon e freccette, le carte da briscola sui tavoli e l’aria di settembre.
Guarda, lo spazio si è allargato adesso, siamo tornati due che, Ciao come stai.
Che diritti ho su di te, mi chiedo. Soltanto uno, quello di custodire tutti i vermi che ti ho mostrato, perché non lo sanno tutti quello che porto dentro.
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#150parole
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Ph del Maestro Michele Mobili
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Certi capivano il jazz

 

Questo racconto partecipa al concorso toast, organizzato dal Penelope Story Lab.
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Mi hai detto Fermiamoci qui dai, un posto valeva l’altro.
I tavoli erano di legno pesante, tutti da sei persone, graffiati con le chiavi dell’auto, piene di scritte romantiche e cuori spaccati, sapevano di fumo.
Non ricordo bene quando era iniziata la musica, una ragazza in costume ballava dentro a una gabbia, poi venne un tizio, ti disse una cosa all’orecchio, hai riso buttando la testa all’indietro come facevi sempre, mi hai preso il braccio e mi sono ritrovata con te nella gabbia. Le luci, il fumo, eravamo la contraddizione, la negazione delle regole stabilite, lo spazio stretto del tempo quando si aggiusta.
Andava sempre a finire così, trovavi questi ragazzi bravi, certi capivano il jazz, altri il soul, ma nessuno di loro restava. Avrei dovuto fare come te, continuare a correre, senza fermarmi. Invece.
Adesso guardo queste foto in silenzio, mi giro intorno, e la gabbia è tutta qui.
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Photo del maestro Michele Mobili
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www.lascrittoressa.it
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A marzo c’è sempre vento

Questo racconto partecipa al concorso toast, organizzato dal Penelope Story Lab.

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Lo zampillare lento della pioggia sul vetro. Scorre un’ombra nera, quasi a stringermi il fiato.
Casa era il passaggio delle auto, la strada, la luce bianca davanti al portone a scacchi, la misura degli anni.
A marzo c’è sempre vento, a volte nevica, qui. Guarda come somiglio a questa primavera che si spacca e scurisce i colori tra uno squarcio e l’altro.
Sono stata sempre il tempo sbagliato, ho dovuto reinventarmi per continuare ad esistere. Non è stata una scusa per scappare, mi dico, la paura di restare, è il mio confine, che ho spostato sempre un po’ più in là per non cadere nel frastuono che fa uno spazio chiuso mentre guardo altrove, come il rumore del mare in inverno, l’onda che torna indietro, come i passi che ci sono sempre tra me e la finestra chiusa quando vado a vedere la vita che s’increspa un po’ per volta.
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