Mi spoglio come l’ultimo mese dell’anno e rimango a mani vuote mentre penso che no, non li voglio vedere loro, quelli perfetti, quelli che sanno e non sbagliano e non credono ma vedono e non si dimenticano perché ogni cosa è meglio non toccarla, lasciarla com’è e dove sta. Non saremo mai simili mi dico, io sono quella che stravolge le righe, che sconvolge le cose e cambia verso quando il verso non è più quello giusto. E allora mi faccio silenzio, mi faccio meno ingombro, mi tengo il poco spazio concesso mentre voi camminate guardando indietro, con il collo attorcigliato per giustificare un’assenza con le mani giunte per fare finta di pregare. Io vado avanti invece, cammino schivando una buca e l’altra, mi aggrappo alla terra mi risollevo da sola come sempre, come tutte le volte che sono caduta.
Ma guarda che bella questa strada in salita non c’è quasi nessuno ripeto e come mi somiglia questo posto, è pieno di cose rotte e tagliate buttate via eppure c’è ancora spazio, incredibile.
Mi piacerebbe raccontare della cima ma prima che scopra la discesa cerco di non fermarmi tra una lamiera e l’altra ché tagliarsi in due è un attimo e lo so bene.
Nei giorni più freddi non fa più quel freddo vero, l’aria mi passa davanti spavalda, scelgo il cappotto leggero perché il peso, sulle spalle, ha già la fatica degli anni che non so.
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[appunti del non viaggio]
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